Darkest Dungeon – La notte più buia
Vale così poco una vita? Vi ritroverete molto spesso a rimuginare su questa domanda esistenziale mentre getterete, con un moto di commozione, l’ennesima manciata di terra sui volti dei compagni caduti servendo la causa della splendida, disturbante ed incredibilmente perversa creatura di Red Hook. L’eroismo è roba d’altri. Nel luogo scuro ed opprimente in cui ci stiamo per addentrare non esiste la luce purificatrice del sole e non brillano nemmeno più le anime dei sodali che ci accompagnano, stretti nei loro mantelli sgualciti, nei fasciami che tengono insieme gli arti spezzati, ridotti ad ombre macilente dagli occhi incavati e vitrei in cui si può scorgere di quando in quando un lieve singulto di vita. Quella però non è più la forza che li muoveva appena reclutati; forse quel guizzo repentino non è altro che la più bieca forma di pazzia che si è impadronita di loro ed attende solo il momento propizio per calare la falce dell’ignobile destino e reclamare quanto gli è dovuto. Fossi in voi, stanotte, terrei il fuoco acceso, il pugnale sotto la bisaccia e dormirei con un occhio aperto per assicurarmi che il Tristo Mietitore non venga a farvi una visita inaspettata.
Questo è l’effetto che fa Darkest Dungeon andando oltre i fasti patinati di eroi senza macchia e senza tentennamenti ed approfondendo i più oscuri meandri della psiche umana. Tale filosofia ci ricorda che anche chi ripugna il male, in realtà, possiede un demone interiore che gli divora incessantemente l’anima; persino un integerrimo crociato plasmato dal sacro fuoco del credo arriverà presto o tardi, nel buio di una segreta maleodorante, a lanciare l’ultimo brandello di umanità al mostro interiore. La creatura di Red Hook ci investe così, in pieno, senza tanti complimenti, con una cattiveria ed una forza irresistibili; degne di un lontano e benvoluto parente che risponde al nome di Dark Souls. La parte masochistica dei giocatori, che non finirà mai di stupirci, ha decretato il successo della campagna Kickstarter del prodotto che in breve tempo da un’obiettivo dichiarato di 75.000 dollari, ne ha raccolti oltre 300.000. Giunto da poco più di un mese in Early Access, possiamo finalmente darvi le nostre prime impressioni, anche se l’incipit non lascia presagire – a ragione – nulla di buono.
Lasciando da parte per un momento le atmosfere del titolo, che sembrano uscite direttamente da un qualsiasi racconto di H. P. Lovecraft, Darkest Dungeon si presenta come un dungeon crawler roguelike che strizza l’occhio in decomposizione alle meccaniche old school del genere, arricchendo però la formula con un pizzico di gradite novità e una riuscita commistione che attinge a diversi sotto-generi ruolistici e strategici. Giunti in un villaggio maledetto e dimenticato da Dio, richiamati dall’onore del nostro casato ormai scomparso, inghiottito negli abissi infernali a causa dell’avidità e della bramosia di denaro. Il male, sfidato con ottusa ingenuità da uomini privi di lungimiranza, ora si vendica vomitando dalle sue fauci orrori che ammorbano una terra un tempo bella e fertile. Nella nostra missione però non siamo da soli, veniamo infatti coadiuvati da un manipolo di folli avventurieri; carne da macello sempre fresca da reclutare alla carovana itinerante del villaggio. Possiamo portare con noi sino a quattro compagni per volta, mentre gli altri resteranno a disposizione, oppure a riposo forzato, per curare le ferite della mente. È importante sin dalle prime incursioni infatti avere un buon ricambio di compagni e, soprattutto, non affezionarcisi, perché purtroppo la morte aleggia con tragica costanza sul gruppo. Oltre al villaggio, di cui diremo tra poco, la vera chiave di volta dell’intero titolo è rappresentata dalle spedizioni, le quali prevedono una molteplicità di obiettivi differenti che, alla fin fine, si sostanziano nella “pulizia” di ogni stanza e corridoio dei labirintici dungeon, attraverso scontri casuali e non. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, raggiungere gli obiettivi e portare a casa la pellaccia risulta una impresa assai ardua, che lascia davvero pochissimo margine a qualsiasi errore. Darkest Dungeon è un titolo punitivo, difficile, che immerge fino alla punta dei capelli in ambienti e meccaniche di gioco altamente ostili e malate, per un’esperienza condita da rituali improperi davanti allo schermo e indimenticabili soddisfazioni legate al salvataggio di tutti e quattro i membri del gruppo. A nostro favore non vi è nulla; per questo è importante, sin dalle prime battute, ingegnarsi e curare in maniera maniacale il proprio party ed ogni aspetto ad esso correlato. Anche se, purtroppo, molte volte non basta. Un eroe può infatti perire miseramente ed in modi inimmaginabili nonostante abbiate passato più di una decina di ore a livellarlo con fatica ed infinita pazienza. Vige il principio del permadeath e una volta perso un eroe si può solo commemorare versando una lacrima sulla sua tomba al cimitero del villaggio, dove un breve epitaffio ricorda le tragiche circostanze della prematura dipartita.
Come dicevamo, oltre al set lovecraftiano pieno di orrori ed insidie mortali, anche la mescolanza sapiente di meccaniche tipiche dei roguelike, dei cRPG e degli strategici a turni, contribuisce a renderci le cose incredibilmente difficili. L’esplorazione infatti passa attraverso dungeon bidimensionali generati proceduralmente, sempre diversi per conformazione, quantità di abomini, trappole e tesori. I nostri quattro compagni di sventura prima di ogni spedizione possono acquistare oggetti da riporre nell’inventario, come cibo, bende, ma soprattutto molte torce. Questo oggetto all’apparenza insignificante in realtà riveste estrema importanza in quanto proprio grazie alla rassicurante luce di una torcia è aggrappata la salute mentale degli eroi, nonché la difficoltà degli scontri e la quantità di bottino che è possibile raccogliere. Se la fiamma si consuma, o peggio, si spegne del tutto, lo stress a cui sono sottoposti i combattenti aumenta a dismisura ed in pochissimo tempo nella loro mente iniziano a formarsi pensieri nefasti che, se esternati, arrivano ad influenzare negativamente tutto il gruppo. L’introduzione dell’elemento psicologico è un colpo di genio che approfondisce in modo pressoché perfetto l’elemento strategico-tattico del titolo; più delle decine di statistiche, della gestione dell’equipaggiamento e dei combattimenti a turni i quali, da soli considerati, si autoregolano grazie ad una miriade piuttosto varia e ben caratterizzata di abilità uniche per ogni classe e per ogni nemico.
SOTTO L’ARMATURA, UNA MENTE DILANIATANon c’è alcun spazio per gesti eroici. I nostri sodali, sotto la corazza o il mantello ridotto a brandelli, vengono presentati come comuni esseri umani, ognuno con debolezze e pregi. Questo è essenzialmente ciò che dovete sempre tenere a mente formando il party ed addentrandovi nella greve oscurità. Gli stessi, poi, a seconda delle loro peculiari inclinazioni, dello stress subito, della composizione del gruppo e dell’andamento della spedizione, sviluppano vere e proprie patologie fisiche e mentali che portano ad importanti debuff, sino alla totale perdita di controllo del personaggio. Giusto per farvi qualche esempio, abbiamo assistito impotenti alla morte della nostra Vestale solo per il fatto d’essersi guadagnata i tratti di egoista e cleptomane. La poverina si è avventata senza pensare su uno scrigno prima che potessimo curarla e, nel tentativo di appropriarsi del contenuto, ha attivato una trappola nascosta che l’ha seccata sul colpo. Questo è solo un piccolo assaggio di ciò che vi aspetta. Inoltre, ogni difetto caratteriale o mentale deve esser necessariamente rapportato a quelli dell’intero gruppo. Non è affatto scontato che tutti vadano d’amore e d’accordo e in alcune occasioni il wipe del party è stato inevitabilmente provocato dall’healer che, avendo sviluppato una antipatia atavica nei confronti degli altri compagni, rifiutava egoisticamente di curarli. Insulti che volano tra gli eroi attorno al fuoco da campo ed episodi assurdi se ne sono verificati davvero a bizzeffe. Per questo, il villaggio in cui ritorneremo alla fine di ogni quest mette a disposizione dei soldati superstiti, alcuni luoghi (potenziabili attraverso determinati tesori raccolti all’interno del maniero) per ristorare le fatiche della mente del fisico. Un bordello (per il quale l’integerrimo crociato va pazzo), una abbazia e un ospedale psichiatrico permettono di mettere in cura, pagando peraltro un bel po’ d’oro, chi non riesce più a sopportare la dura vita dell’avventuriero. Questi soldati rimarranno assenti sino alla missione successiva e non è detto che le terapie facciano il loro effetto sulle psicosi. Le stesse infatti potrebbero divenire permanenti.
OSCURITÀ NERA COME LA PECESotto il profilo stilistico, le immagini e i trailer parlano da soli. Le cupe atmosfere gotiche, lovecraftiane, rese magnificamente grazie ad una realizzazione grafica bidimensionale sopraffina, caratterizzata da tratti hand drawn pesanti, grezzi e scuri che fanno emergere la vera natura di quel luogo maledetto e la personalità “umana” di ogni combattente. I modelli delle moltissime classi disponibili (si va dal crociato al barbaro, dal medico all’alchimista, sino ai cacciatori di taglie, alle sacerdotesse e ai bardi) fanno risaltare costantemente un senso di debolezza, di fragilità psicologica in cui c’è ben poco di eroico o emulativo. Aggirandosi tra gli stretti corridoi del maniero in rovina, oppure peregrinando all’interno di una foresta resa rosso sangue dalla luce di un sole maligno, sembra quasi di condividere le emozioni e le paure del gruppo di avventurieri che stiamo conducendo probabilmente verso la loro ultima avventura. Il timore per aver finito le torce, il buio che avanza, la fobia del paladino per gli scheletri, il ribrezzo che prova la sacerdotessa nel curare il ladro con cui non va per nulla d’accordo, ci mettono un senso di ansia ed angoscia alimentato da un comparto audio stupendo. Con musiche e campionature audio assolutamente d’atmosfera e una splendida voce fuori campo profonda, roca ma affilata come la lama di un rasoio che si prodiga nel raccontare ciò che accade sullo schermo. Quasi come ci fosse un master onnisciente conscio di quello che ci aspetta e, per questo, ancora più sadico. Siamo talmente masochisti che non vediamo l’ora di metter le mani sul prodotto completo.