Ori and the Blind Forest
Tra le tante piccole sorprese in esclusiva che hanno fatto della conferenza Microsoft una delle favorite in quanto a nuove IP, c’è anche Ori and The Blind Forest, insieme ad Inside dei Playdead, a Sunset Overdrive, a Scalebound ed altri titoli di stampo indie promessi per Xbox One. Si tratta però di una software house con un solo titolo emblematico a seguito, un FPS con componente strategica e dal design essenziale sviluppato sulla sempre più performante piattaforma Unity, la quale decide, circa 4 anni fa, di godere della collaborazione di Microsoft e cimentarsi nello sviluppo di un gioco dal genere totalmente diverso.
Il tool di sviluppo è costituito da un collettivo di otto personalità sparse in tutto il mondo, assenti dunque di una sede fisica ma comunque in grado di far emergere la vivida passione per il medium videoludico. Secondo quanto dichiarato l’occasione di questo E3 2014 è stata il pretesto per incontrarsi fisicamente per la prima volta, a testimoniare l’efficienza di un metodo di sviluppo ex situ. I Moon Studios, ecco il nome del team, sono inoltre l’ennesimo esempio di come, a cavallo tra la tramontata e la nascente generazione di console, le grandi case produttrici, siano esse di Redmond o di Tokyo, abbiano imparato a conoscere l’immenso valore dei titoli indie, baluardo di speranza e rinascita opposto ad una sempre più decadente evoluzione (o involuzione) del settore AAA, sempre più scevro della fiducia dei videogiocatori che, di pari passo, aumentano le proprie pretese.
Cinema d’animazione e hardcore gamingMa se il mercato degli indie apre un nuovo fruttouso mercato, cosa fanno dunque colossi come Sony e Microsoft? Ovvio, ne acquistano la produzione e ne inglobano le software house, tramutando la tradizionale definizione di indie in una pura convenzione stilistica (come del resto è già accaduto per la musica). Sotto la stessa ottica, molti sviluppatori, con produttori ad incentivarli a seguito, hanno ultimamente optato per un visual 2D di tipo illustrato, proprio come se si volesse rispondere a quella continua e superficiale ricerca dell’iperrealismo, misurata in qualità di textures, luci e numero di poligoni, con un tipo di rappresentazione che prescinde dai progressi tecnologici: appunto l’illustrato, o il simulato tale. Il motore di gioco UbiArt è già venuto incontro a queste esigenze e sviluppatori come Vanillaware sfruttano l’illustrazione come loro punto di forza avverso alla poligolizzazione serrata dei titoli tripla A sin dal 2007. Nel caso specifico di Ori, lo stile grafico e narrativo arriva direttamente dai più illustri esponenti del cinema d’animazione. I titoli a cui si allude sono capolavori tutti occidentali come “Il Re Leone” o “il Gigante di Ferro” di Brad Beard, e perle provenienti dall’estremo oriente, come l’intera produzione del maestro Miyazaki. Anche il racconto, che vede come protagonista un piccolo spirito della foresta dalle fattezze feline pronto a spazzare via un oscuro male identificato in un tetro e gigantesco gufo nero, rivela subito la sua chiave di lettura simbolista costituita dai semplici valori assoluti di bene e di male. Il visual dell’ambiente e il character design trasudano delicatezza e finezza da ogni poro, affascinando così inevitabilmente ogni tipologia di pubblico o di utenza, per un gioco che, possiamo anticiparlo sin da ora, godrà di un comparto tecnico e visivo davvero sopra le righe, in termini qualitativi se non quantitativi.
Ricchissima la palette cromatica e molto convincente il level design, seppur sia ancora difficile stabilire la bontà di quest’ultimo dato il materiale relativamente povero mostrato sin ora. Ma vediamo come si comporta nello scenario contemporaneo questo Ori the Blind Forest, titolo che solo attraverso la pubblicazione del primo trailer è stato capace di conquistare l’attenzione di molti videogiocatori grazie alla sua dolcezza e i suoi colori sgargianti. Si tratta, come specificato dagli stessi autori, di un MetroidVania, sottogenere frutto di una sincrasi tra Medroid e Castlevania, di natura ibrida tra platform e RPG. Propone un gameplay curato sin nel dettaglio, che promette di reggere, anche nella più disparata e pesante delle situazioni, i 60 frame al secondo, con una fluidità eccezionale sia delle animazioni su schermo del personaggio controllato che della reattività scattante provata direttamente dal giocatore. Meccaniche datate primi anni novanta dunque, ma supportate da una tecnologia che, non solo in termini più squisitamente visivi, garantisce, sempre a detta di Moon Studios, “la perfetta sensazione di controllo”, e quindi la piacevolezza di ogni azione richiesta dal gameplay.
Anche la gestione dei checkpoint sarà perfettamente flessibile e a discrezione esclusiva del giocatore, il quale dovrà scegliere dove piazzare una copia della propria anima, e quindi un punto di controllo, per poter così intraprendere una strada impervia e sconosciuta con maggior sicurezza e meno rischio. Ce ne sarà bisogno? Probabilmente sì, considerato che ci avviamo verso un parziale ritorno all’hardcore videoludico, teoria supportata dall’annuncio di giochi come Lords of The Fallen e anche da una curiosa confessione degli sviluppatori di Ori, i quali raccontano alla stampa che durante il periodo di rifinitura del titolo molti dei membri erano impegnati a giocare a Dark Souls, apprezzandolo e prendendone in una certa misura spunto. Oltre a tutto questo il titolo poi presenterà ad ogni angolo un numero cospicuo di enigmi ambientali da risolvere con non troppa facilità, per la risoluzione dei quali ci sarà richiesta coordinazione motoria e ragionamento in real-time. Ci si aspetta un prodotto tosto e ben bilanciato, che sicuramente saprà farsi rispettare in quanto a livello di sfida, anche nel panorama prossimo futuro nel quale lo vedremo venire alla luce.

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