The Book of Unwritten Tales: Critter Chronicles – Recensione
Oggi sono praticamente sconosciute ai più e vezzo nostalgico per chi è almeno sui trenta, ma un tempo, fino alla prima metà degli anni 90 le avventure grafiche “punta e clicca” rappresentavano una delle vette massime dell’intrattenimento elettronico. Massima espressione di tale categoria ludica erano le avventure della Lucasfilm (ora Lucasarts) basate su motore SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion,geniale connubio tra motore di gioco e linguaggio di programmazione creato da Ariec Wilmunder e Ron Gilbert nel 1987 per il titolo in questione e poi usato in quasi tutti i prodotti della casa statunitense) e che con capolavori deliranti e visionari come Monkey Island, Maniac Mansion o Zak McKraken regnava sovrana in tale ambito seppur tallonata da altre eccellenti software house avvezze al genere come Sierra o Revolution Software. Componente fondamentale di tale tipologia di giochi era il connubio tra una trama delirante, visionaria e umoristicamente nonsense legata però strettamente a un preponderante filo logico nella risoluzione degli enigmi combinando gli oggetti dell’inventario tra loro e\o con il mondo di gioco: anche quando la follia più totale e delirante sembrava prendere il sopravvento ci si accorgeva sempre che c’era una solidissima logica di fondo che portava a spremersi le meningi per la risoluzione dell’enigma.
Con il passare degli anni tali avventure sono diciamo “passate di moda” soppiantate da sistemi di gioco più immediati e, diciamocelo, meno profondi. Anche la categoria stessa pur non estinguendosi completamente ha profondamente mutato le basi fondanti del gameplay basandosi su una narrazione più “seriosa” e su una logica degli enigmi molto meno originale e più semplicistica (anche per venire incontro alla solita utenza moderna poco avvezza all’utilizzo delle meningi nella fruizione del media videoludico).
Perchè questa lunga introduzione? Beh perché contro ogni logica commerciale moderna fortunatamente esiste ancora qualcuno interessato a proporre al pubblico tale tipologia di giochi come se in questi venti anni non sia assolutamente cambiato nulla. I ragazzotti di King Art Games hanno sorpreso il mondo videoludico (e strappato più di una lacrima ai nostalgici) lo scorso anno immettendo sul mercato The Book of Unwritten Tales, piccola perla ludica figlia di tempi andati che si rivelò manna per l’appassionato del genere in astinenza oramai da almeno un decennio. Il titolo prodotto dal team teutonico si poneva come ossigeno puro per il genere presentando tutti gli elementi tipici delle avventure che furono: trama sufficentemente delirante, personaggi folli e splendidamente caratterizzati ed enigmi finemente studiati e appaganti. Ora, a un anno dall’uscita di quella piccola perla ci troviamo qui a recensire il suo seguito (anche se in realtà è un prequel ed essendo quasi totalmente slegato dal precedente capitolo può benissimo essere giocato a se stante): The Book of Unwritten Tales: Critter Chronicles.

La trama ci mette subito in fuga su una aeronave nei panni di Nathaniel, simpatica canaglia già conosciuta nel precedente gioco, che è entrato in possesso del suddetto mezzo volante barando a al gioco contro il precedente proprietario che di contraltare gli piazza una taglia sulla testa e infatti ci troveremo subito a confrontarci con un attacco da parte di una nerboruta e piuttosto animata da cattive intenzioni orchessa cacciatrice di taglie. La battaglia (che mostra subito la geniale idiozia della trama e della risoluzione degli enigmi) porterà la nostra simpatica canaglia a precipitare e spiaccicarsi con tutta l’aeronave in un ghiacciaio, dove ben presto tra millanta situazioni idiote e citazioniste verrà a conoscenza del secondo protagonista di gioco: il Critter (anch’esso presente nel primo gioco), buffo “coso” viola alieno peluchoso che si esprime con versi incomprensibili e gestualità assolutamente esilaranti, per andare a formare una coppia di protagonisti assolutamente di livello e ampiamente ispirati a Han Solo e Chewbacca di starwarsiana memoria. Non vi sveleremo oltre della trama per non rovinarvi la sorpresa visto che questa si presenta assolutamente godibile nelle sue situazioni al limite dell’assurdo (nel dipanarsi della trama si presenteranno almeno una mezza dozzina di gag assolutamente d’autore estremamente citazioniste che vi faranno letteralmente cadere dalla sedia dalle risate).
La struttura di gioco è quella classicissima del punta e clicca d’annata con una tonnellata di enigmi lucidamente folli da risolvere a colpi di mouse combinando uno o più oggetti tra loro e/o con il mondo di gioco e dialoghi a scelta multipla. Gli enigmi come tradizione, pur essendo mascherati sotto la più totale e delirante follia, sottostaranno a una ferrea logica di fondo che ci costringera a spremere ampiamente le meningi per venirne a capo. Sovente ci capiterà di dover utilizzare la arcaica pratica del “pixel hunting” ovvero muovere il mouse in giro per lo schermo alla ricerca degli hotspot da cliccare previsti dagli sviluppatori (pratica comunque evitabile per i videogiocatori più “moderni” con un tasto opzionale adibito a far visualizzare a schermo contemporaneamente tutti i punti di interesse presenti) e dopo esserci arrovellati per svariato tempo, una volta trovata la soluzione, vi parrà come assolutamente ovvia e vi chiederete come diamine non ci avete pensato prima. Ovviamente le situazioni previste dagli sviluppatori non si limitano solo a questo in quanto a spezzare il ritmo come sopra detto vi saranno situazioni risolvibili a colpi di dialoghi (anch’essi idioti e citazionisti ovviamente) e qualche altra piccola variazione che preferiamo non svelarvi per non rovinarvi la sorpresa.
SEPPUR “INDIE” SI DIFENDE BENEL’impianto grafico del gioco, seppur non tecnicamente impressionante, si presenta assolutamente azzeccato al contesto con scenari e personaggi rappresentati in maniera ottima e assolutamente coerenti alla delirante sceneggiatura. Ottime si presentano le musiche di gioco e pregevole è il doppiaggio in inglese (seppur a volte non perfettamente sincronizzato) e i testi a schermo, in inglese anch’essi.
Al momento in cui il gioco ci è pervenuto non sono disponibili i sottotitoli in italiano, ma sono previsti (e scaricabili da chi ha acquistato il gioco in inglese) per i primi mesi di questo nuovo anno. Infine, il gioco dei King Art presenta una longevità di tutto rispetto per il genere di appartenenza in quanto per venire a capo delle vicende di Nathaniel e del suo buffo compagno di avventure saranno necessarie una decina di ore se si seleziona il livello di difficoltà normal, con hard i tempi aumentano abbastanza.
Sceneggiatura ed enigmi folli e molto ben strutturati |
8.5 | Tecnicamente un po' povero |
Personaggi splendidamente caratterizzati | Odiernamente purtroppo il genere è poco considerato | |
| GUSTOSAMENTE "PUNTACLICCOSO" | ||