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Recensione
TESTATO SU PC
22 agosto 2014, 16:27

Spate – Recensione

Ci sono videogiochi che spesso “fuggono via” dai canoni più classici di un determinato genere, tentando di sfruttarne solo alcune peculiarità, in modo tale da “aiutare” un particolare percorso degli eventi o la narrazione a prendere forma e sostanza, a farsi forza col passare dei minuti, perché accompagnate da basi solide, che spesso si suol definire facenti parte del “gameplay”. Come per tanti altri titoli perlopiù indie, quello di oggi narra la triste storia di un padre disperato, ormai solo, che non ha più alcun motivo di vivere, annegando i propri rimorsi e ricordi in fiumi di alcol, che lo confondono, lo fanno dimenticare, lo fanno andare avanti. Spate, in breve, è tutto questo.

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UN CASO DISPERATO PER UN UOMO ALTRETTANTO DISPERATO

Sotto la struttura di platform a due dimensioni, o meglio in 2.5D, Spate cela la sua vera essenza: un mix di stati d’animo angosciosi ed esagitati, che fluiscono nella componente narrativa fino a renderla fulcro dell’intera esperienza che – seppur piuttosto breve – ha il pregio di lasciare al suo “osservatore” qualcosa dentro. Spate narra la storia di Bluth, un detective mandato ad investigare in un luogo ritenuto pericoloso, un luogo da cui raramente si fa ritorno, proprio per questo chiamato ‘X Zone'; ai primi interrogativi, quelli del “perché accettare un incarico così rischioso?”, presto lo sviluppatore concede uno sprazzo di risposta, finché la faccenda si fa chiara e limpida e non ci si può più tirare indietro: andrà portato a termine l’incarico, e non solo, andrà trovata una ragione di vita, quella persa a causa dell’alcol, dell’abbandono della propria moglie e del terribile incidente capitato a nostra figlia. Ne vien fuori un racconto aperto, toccante, che in alcuni tratti assume i toni di una confessione da parte del protagonista, che riconosce di aver sbagliato, di non essere riuscito a reagire, di aver perso la sicurezza, anche nel portare a termine la più semplice delle cose.

È in questo modo che si viene trascinati dall’avanzare del racconto, sempre più crudo, mentre le fasi platform tentano – riuscendoci – di dare un motivo in più per non staccare dal gioco; impresa tutt’altro che difficile, considerando che si possono raggiungere i titoli di coda in appena novanta minuti, più che sufficienti a nostro avviso per quel che Spate vuole essere: un racconto, una storia come tante, che si concede qualche spunto riflessivo e non chiede al suo giocatore impegno nel conseguire sessioni platform punitive e frustranti, col chiaro tentativo di catturarlo con quelli che tuttora molti considerano come “obiettivi marginali” nel genere: la trama, il suo sviluppo, l’epilogo e, a seconda della scelta finale compiuta, un nuovo inizio o una triste fine. Attenzione però, perché se le sessioni platform sono un riempitivo, non bisogna credere che la qualità realizzativa – intesa come level design – sia stata trascurata. Ci sono diversi passaggi in cui lo sviluppatore è riuscito a rendere interessanti le fasi più giocate, ma soprattutto le ambientazioni, sempre in linea con gli stati d’animo del protagonista, ai suoi blackout da astinenza, regalano quel qualcosa in più che spesso platform più convenzionali non hanno. Ogni location riflette così lo stato interiore di Bluth, afflitto da perplessità e paure durante il suo cammino alla ricerca della verità, tra colori briosi ed altri cupi, e forme strane, sfocate, location in movimento, ribaltate, ruotanti, che ben rimembrano le fasi post-sbronza, penose ed insopportabili, che caratterizzano gran parte della sua triste e ormai solitaria vita.

Straordinario anche il modo con cui Ayyo Games – lo sviluppatore – ha selezionato il narratore del videogioco, ad opera dell’attore Jack Bair, che con la sua strepitosa voce narra il racconto (ovviamente in inglese) mentre prosegue l’avventura tra piattaforme e scenari, risultato di una direzione artistica straripante e sopra le righe. Piccole perplessità sorgono nel codice di gioco, poco ottimizzato e che sfrutta più risorse di quante una piccola produzione come questa dovrebbe, e talvolta si avverte un lieve ritardo nei comandi solo in alcune circostanze, ma a parte questo ed una longevità che, come accennavamo, è ridotta e potrebbe dar “fastidio” a qualcuno anche visto l’esborso di circa dieci euro, Spate dovrebbe entrare nella wishlist di ogni buon videogiocatore interessato nel portare a compimento “esperienze” diverse dal solito, piuttosto che pretendere i soliti titoli caciaroni o dal grado di sfida elevato. Proprio quest’ultimo motivo potrebbe rappresentare un aspetto negativo per molti, ma tenendo conto delle particolarità espresse da Spate, e riassunte nella nostra recensione, c’è soltanto bisogno di adattarsi, tentando di godersi al meglio il viaggio interiore, personale e morale, di un uomo stanco della vita e tanto insicuro sul da farsi, sul suo futuro. Dovrete aiutarlo a decidere, scusate se è poco.

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IN CONCLUSIONE
Soltanto l'ennesimo platform game? Sì e no. Sì, perché in quanto a meccaniche e gameplay gli sviluppatori di Spate non hanno portato nulla di nuovo nel genere; no, perché come raramente accade nel genere, questo videogioco sfrutta la semplicità di certi automatismi per raccontare una storia toccante e a tratti tragica. La storia di un uomo perduto ed annegato nei fiumi dell'alcol, anzi dell'assenzio, una storia che solca il flebile confine tra vita e morte, e lo fa grazie ad una direzione artistica ineccepibile e ad atmosfere evocative, così come ad una narrazione perfetta. Magari non a prezzo pieno, vista anche la durata molto esigua, ma il nostro consiglio è quello di dargli una seria possibilità: tra il marasma scatenato da un numero sempre maggiore di esponenti, Spate brilla di luce propria, pur perdendosi a tratti.
Pro-1
Una storia toccante
7
Contro-1
Durata esigua
Pro-2
Direzione artistica
Contro-2
Qualche incertezza nei comandi e nell'ottimizzazione del codice
Pro-3
La narrazione ad opera di Jack Bair
Contro-3
Chi pretende sfida da un platform ne stia alla larga
L'ALCOL FA BENE, L'ALCOL FA MALE
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