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Rubrica
23 aprile 2012, 15:02
What We Lost? | Saya no Uta
What We Lost? | Saya no Uta mobile

What We Lost? | Saya no Uta

Saya no Uta è una visual novel ideata da Gen Urobuchi (Fate/Zero, Puella Magi Madoka Magica…) e sviluppata da Nitroplus (Chaos;Head, Steins;Gate…) nel lontano 2003, in esclusiva PC. Il genere, praticamente sconosciuto in Occidente e tra i più gettonati in Giappone, è l’evoluzione videoludica delle novel cartacee e non, e quanto di più simile ad un romanzo multimediale. In una visual novel l’azione passa in secondo piano, e da giocatori ci si trasforma in attenti lettori. Non sarà necessario risolvere enigmi, esplorare dungeon o gestire un party di eroi, solo far scorrere le (tante) righe di testo, divorando ogni “pagina” come un best seller in tiratura limitata, sviluppando così una certa empatia verso le ambientazioni e i personaggi, con i quali relazionarsi. Un’esperienza per molti aspetti superiore ad un qualunque libro o film, che lascia fantasticare anche gli estri creativi più pigri, grazie a un character design curato minuziosamente, un doppiaggio di prima classe, sfondi e brani evocativi (ovvio non sempre ndr), in cui si è realmente partecipi delle vicende, plasmandole a seconda dei propri gusti, quasi fossimo noi i registi e non semplici spettatori.

Ma secondo voi, in una società che vede le avventure grafiche ormai prossime all’estinzione, e dove un Metal Gear, un Lost Odyssey o un Fire Emblem a caso vengono criticati perché “si parla tanto e si gioca poco”, potrebbero mai trovare suolo fertile dei titoli la cui principale occupazione è dispensare diatribe, complesse introspezioni e lunghe descrizioni? Ovviamente no; al giocatore occidentale piace correre a zonzo, essere sempre attivo, preferirebbe applicare un gatto alla canna di un fucile come fosse un silenziatore o lanciare teste di mucca infette ai passanti piuttosto che perdere tempo davanti a una sequenza ininterrotta di caratteri privi di vita. Per non parlare della censura, che miete a prescindere ogni produzione ritenuta “suggestiva” o inadatta ai minori…Giusto in America il genere sta acquistando credito, ma si tratta di una goccia nell’oceano in confronto al vero e proprio fenomeno di massa che si registra nel Sol Levante.

Cuore pulsante di una visual novel sono le flag, più comunemente note come “dialoghi a risposta multipla”, ovvero le scelte che andranno a influenzare in maniera più o meno marcata la vita del nostro alter ego virtuale: approfondire la relazione con un personaggio o troncarne completamente ogni rapporto, annuire mestamente o compiere gesti inconsulti, seguire il proprio istinto o preferire un approccio più discreto in favore del proprio tornaconto, non c’è freno alle nostre più recondite smanie. Il genere abbraccia una rosa di varianti sul tema immensa, non c’è cast o età storica che non sia stato almeno una volta rappresentato (non a caso buona parte degli anime in circolazione sono adattamenti da novel prima che da manga), ma tra i più gettonati spiccano i Gal Game, i cosiddetti “simulatori di appuntamento”, e la loro versione “spinta”, gli Eroge, merito dei sempreverdi elementi Slice of Life (letteralmente “frammenti di vita quotidiana”) e quel fattore “fuga dalla realtà” che attira come mosche sul miele migliaia di giovani menti, attratte da ragazze facili, tresche amorose e situazioni in grado di far impallidire i più blasonati sceneggiatori a luci rosse.

Bene, se avete avuto la pazienza di arrivare fin qui, potete tranquillamente dimenticare quanto detto finora, perchè Saya no Uta, come si potrebbe facilmente immaginare dai fasti dei suoi visionari sviluppatori, rompe questi schemi ormai all’ordine del giorno, andando a sondare campi di rado affrontati in un media videoludico. L’atmosfera, volutamente cupa, grottesca quasi, incontra un copione dalle tinte mystery e horror, ricco di pathos e colpi di scena. Tematiche come la solitudine, la follia, l’alienazione, vengono trattate con crudo realismo, e si viene a conoscenza di ogni aspetto più profondo della psiche dei personaggi, aumentando la tensione e creando una totale immedesimazione nel giocatore. A causa di numerosi contenuti gore ed erotici in questo articolo si cercherà di essere quanto più generici possibile sulla trama e i suoi sviluppi, in modo da non turbare i lettori più sensibili, ma soprattutto per non rovinare nulla a chi fosse interessato a provare questo titolo.

Orrore (e censura)...



FDD

Sakisaka Fuminori è un normale studente della facoltà di medicina di una non meglio precisata cittadina nipponica. La sua placida routine viene tuttavia bruscamente interrotta da un incidente stradale, in cui perde entrambi i genitori. Scampato per miracolo alla morte grazie a nuove sperimentazioni della neurochirurgia, al suo risveglio quello che gli si para innanzi non è lo scenario che ricordava prima della tragedia. Per una sorta di scherzo del destino, la sua percezione di ciò che lo circonda viene completamente stravolta: la sua vista, il suo olfatto, persino il gusto, ognuno dei suoi 5 sensi interpreta il mondo come un raccapricciante incubo, in cui gli esseri umani sono ammassi di carne putrefatta, le loro voci gorgoglii indistinti, e a vista d’occhio non si intravede altro che cumuli di poltiglia informe e organi pulsanti.

Il cielo diventa una macchia nera che avvolge tutto come una cappa opprimente, gli alberi un intreccio di arterie che si allungano verso l’alto come artigli, una tazza di caffè una disgustosa e densa brodaglia…Legato ad un letto d’ospedale (o quello che sembra essere) e prossimo alla pazzia, Fuminori sfrutta la poca lucidità rimastagli contemplando il suicidio, per scampare ad una realtà che non gli appartiene, in cui è lui l’estraneo, e alla quale non può sottrarsi. Ormai rassegnatosi, incontra il suo angelo salvatore: Saya, una bellissima e minuta ragazza, di cui il giovane riesce a percepirne l’umanità, le vesti candide, la pelle liscia, il sorriso radioso, calde sensazioni che temeva ormai di non poter più sentire. Terrorizzato all’idea di perdere il suo ultimo barlume di speranza, prega la misteriosa ragazza di restare con lui e di vivere insieme nella sua abitazione, e lei, titubante ma senza un posto dove andare, accetta. E qui si conclude il prologo, raccontato attraverso i ricordi del protagonista.

L’inizio in medias res ci fionda immediatamente nell’ottica distorta di Fuminori, che nonostante gli orrori a cui è costantemente sottoposto cerca di continuare una vita normale per non destare sospetti, frequentando l’università, sottoponendosi a controlli medici, e tentando di relazionarsi con le creature che un tempo erano i suoi amici. Nonostante sia riuscito a sopprimere ogni emozione, apparendo sempre torvo e taciturno, così da non lasciar trasparire la minima incertezza, il suo conflitto interiore e il suo disgusto emergono con forza ogni qual volta prova anche solo a sostenere una conversazione con i suoi compagni. Sa bene che per loro nulla è cambiato, che per loro lui è ancora il Fuminori di sempre, e che cercano di coinvolgerlo nelle loro attività come se nulla fosse accaduto, pur notando in lui sensibili cambiamenti, attribuiti tuttavia allo shock per la perdita dei genitori. Ma queste loro premure ai suoi occhi non sono altro che grotteschi versi sputati da esseri ripugnanti, dai quali è costretto a fuggire per conservare la sua sanità mentale.

Il suo unico sollievo è il bentornato di Saya che lo accoglie ogni giorno al suo rientro; la sua voce angelica spazza in un istante tutte la sofferenza accumulata dai suoi sensi contorti. Tra di loro si crea rapidamente un legame fortissimo, quasi simbiotico: Fuminori non può letteralmente vivere senza Saya, e lei ha finalmente trovato qualcuno, oltre al padre scomparso, che le riservi affetto, assecondando ogni suo desiderio e cercando svariate soluzioni per rendere più confortevole la sua condizione. Ma ogni “bella favola” non è destinata a durare per sempre, e diventeremo presto testimoni di un thriller senza pari, capace di tenere incollati alla sedia per tutte le 5-6 ore attraverso cui si snoderà la trama, ma dal qui presente redattore non otterrete altre informazioni.

...poesia...



DANDELION

Altra peculiarità di Saya no Uta è la dualità espressiva, che varierà a seconda del narratore e andrà ad influenzare numerosi fattori. Quando ci troveremo nell’ottica di Fuminori la colonna sonora assumerà toni foschi, quasi onirici, pesanti da digerire almeno quanto i malati sfondi in CG, in grado di suscitare ansia, con motivi spettrali in un loop quasi angosciante, mentre i testi non mancheranno di dispensare abbondanti descrizioni (mai troppo fini) su ciò che il protagonista percepisce e le sue considerazioni a riguardo, che lasciano intendere un quadro probabilmente insostenibile per una persona normale. I nostri di sensi invece saranno sottoposti a uno stress nauseante, il solo immaginare di trovarsi in una simile situazione lascia sgomenti, e la cura risposta nella narrazione purtroppo aiuta a calarsi nella parte. Volendo è possibile abbassare la quantità di immagini “scabrose” attivando un apposito filtro a inizio sessione, ma ovviamente la resa finale risulta compromessa.

E come il giovane studente viene rincuorato dalla sola presenza di Saya, allo stesso modo gli occhi del giocatore, dopo un’interminabile selva di interiora, vengono risanati dal ritorno al “mondo reale”, dove troveranno spazio le vite e i pensieri dei personaggi “secondari” (le virgolette sono d’obbligo, dato che i pochi personaggi presentati dal gioco godono di una caratterizzazione che molte star del panorama videoludico si sognano). In questo frangente avverrà un netto stacco dalla distorta realtà di Fuminori. I colori si faranno tenui, nitidi, le immagini contraddistinte da una velata purezza quasi surreale, così come le musiche, appena percettibili, in grado di dare il giusto tono a ogni istante senza tuttavia mai balzare all’attenzione. Quest’enfasi non è casuale, anzi sottolinea la linea di demarcazione che divide queste due dimensioni, a conti fatti una singola entità eppure così distanti. L’esperienza non sarà tuttavia frammentaria, ma ogni atto messo in scena sarà complementare agli altri, andando così a delineare in maniera completa ogni aspetto della psicologia del cast e le loro emozioni, anche in rapporto a ciò che traspare dalla loro personalità o che viene colto dai coetanei. I due universi entreranno però in conflitto in più di un climax, e allora la spettacolarità, ma soprattutto la tragicità, prenderà di colpo il sopravvento in un turbinio emotivo difficilmente esprimibile a parole. Una cosa è certa: restare impassibili è praticamente impossibile.

...Saya!



IN CONCLUSIONE

Saya no Uta è un capolavoro, un oscuro e macabro capolavoro, per troppo tempo rimasto nell’ombra del pregiudizio e della censura. Elitario, molto elitario, il target maturo e diversi elementi “particolari” rendono questo titolo ben poco appetibile dai palati meno raffinati, ma basterà soprassedere sul primo impatto, straniante a dir poco, e lasciarsi trasportare dalla cura riposta per ogni singolo verso, dalle sinistre note di sottofondo, da una storia dalle tinte fantasy/horror che nasconde numerosi drammi di natura esistenziale e diverse chiavi di lettura, per scoprire la reale caratura di questa perla relegata al solo Giappone. Se volete godere di una delle migliori produzioni Nitroplus purtroppo al momento dovrete ricorrere a patch fanmade, seppur di ottima qualità, anche se per questo 2012 pare sia stata annunciata una conversione americana (europea no, quando mai…). In un mondo dove comprare libri è da vecchie reliquie, concedetevi una rilassante (?) pausa lettura con uno dei romanzi più coinvolgenti della storia videoludica. Qui da JacopoED64 è tutto e vi lascio al prossimo What We Lost? 😉

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