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6 maggio 2013, 11:01
What We Lost? | Chain Dive
What We Lost? | Chain Dive mobile

What We Lost? | Chain Dive

Quando si tratta di import, abbiamo a che fare con capolavori del genere che hanno mancato la localizzazione per capricci del producer, carenza di publisher, aspettative di vendita troppo basse o pura e semplice indifferenza nei confronti dei giocatori, titoli di nicchia, validi ma rivolti ad un pubblico minoritario al di fuori della madrepatria, o ancora produzioni sconosciute, dimenticate da tutto e tutti, di cui fatichi persino a trovare qualche info in giro, salvo poi rivelarsi dei passatempi formidabili.

E’ il caso di Chain Dive, sviluppato da Desert Productions in collaborazione con Sony Computer Entertainment (mica bruscolini), rilasciato in esclusiva PS2 verso la fine del 2003 nel solo Giappone, dove vi rimase per sempre, in quanto non venne mai prevista una localizzazione per il mercato occidentale. Scovato dal sottoscritto per puro caso, Chain Dive unisce l’ebbrezza del librarsi a mezz’aria senza l’ausilio di strumenti di volo a meccaniche prettamente action, per una formula di gioco veloce, inebriante e dannatamente divertente, sebbene presenti diverse lacune che vanno a minare un concept altrimenti degno di nota. Testi in giapponese e pochissime fonti a documentarne l’esistenza possono scoraggiare, eppure pad alla mano abbiamo più di un motivo per riscoprire questa perla del monolite nero, e cosa c’è di meglio se non WWL?

SOFFRO DI VERTIGINIII!!!

Il pianeta Terra è ormai ridotto in rovina (come al solito), invaso da sciami di insetti giganti che ne hanno decimato la popolazione. Nei panni di Shark, il cibernetico protagonista un po’ Kamen Rider, un po’ Gray Fox di Metal Gear Solid e un po’ Saki in versione Ruffian di Sin and Punishment, dovremo proteggere quel che resta della razza umana e sventare i piani degli alieni cattivi di turno. Dolente non poter offrire una panoramica più dettagliata, ma è quanto si riesce ad estrapolare dai filmati d’intermezzo, e in fin dei conti è tutto quel che serve sapere, poiché farà ben poca differenza conoscere o meno i retroscena una volta in-game. La trama è più un collante tra una missione e l’altra, con qualche spunto di interesse, come il legame tra il protagonista e la ricorrente nemesi, o i misteriosi poteri della co-protagonista, se così si può definire, ma sostanzialmente si può saltare tutto a cuor leggero e gustare il gioco senza interruzioni, soluzione incentivata dalla pessima scelta degli sviluppatori di relegare lunghe sequenze dialogiche a schermate statiche, brutte da vedere e noiose da ascoltare (almeno per chi non mastica il giapponese, ovvio).

A livello di gameplay, Chain Dive si presenta come un platform 2.5D (scrolling pseudo-orizzontale in ambienti tridimensionali) con una spiccata componente action. La struttura a missioni segue linearmente la trama, proponendo una buona varietà di sfide (facilmente intuibili) per sfruttare le abilità del protagonista in diverse circostanze, come attraversare una città distrutta eliminando ogni nemico nella vicinanze, scortare un aereo nel mezzo di una tempesta passeggiando sulle sue ali, fuggire da un bacarozzo sproporzionato all’interno di un tunnel ed altro ancora. L’arsenale di Shark comprende un gancio laser per aggrapparsi ai vistosi nodi energetici che tappezzano gli scenari, da cui dondolarsi o lanciarsi a mo di fionda a grandi velocità, e un enorme alabarda in grado di tramutare i nemici in blocchi di ghiaccio e respingere i proiettili. Il loro utilizzo all’unisono costituisce l’ossatura di CD: gli insetti congelati potranno essere usati come punti di appoggio per il rampino, quindi distrutti con uno schianto diretto abbastanza forte. Ciò darà inizio ad una combo, che crescerà continuando ad eliminare bestiacce in rapida successione e senza toccare terra; più uccisioni inanelleremo, maggiore sarà il bonus alla salute che guadagneremo, utile non solo per ripristinare i danni subiti, ma anche per sfoderare l’attacco speciale di Shark, che gli permette di pulire lo schermo al costo di un terzo della sua forza vitale (e a volte ne vale davvero la pena). Occorre del tempo per metabolizzare il battle system, ancor di più per padroneggiarlo al meglio, ma l’epicità che sprizza ogni volteggio e le intense boss fight ripagano ampiamente i giocatori tenaci.

Il cospicuo numero di appigli e la presenza di un lock automatico funzionale rendono le sessioni disimpegnate molto godibili, tuttavia nei passaggi in cui è richiesta precisione chirurgica e rapidità d’esecuzione è difficile tenere il passo con quel che avviene a schermo, e pertanto si viene indotti spesso a ricorrere al button mashing random, diciamo pure la morte di un gameplay pensato per testare le proprie capacità: farsi prendere dal panico e tempestare il tasto R2 può togliere da qualche impiccio o dare il via a combo galattiche dal nulla, ma solitamente non fa che garantire la morte al primo imprevisto, costringendo a ricominciare tutto daccapo. Il senso di libertà che si respira nelle missioni a scorrimento è impagabile, raramente assaporato nel genere, ma il sistema di controllo mostra il fianco in prossimità di frangenti angusti o particolarmente ostici, allo stesso modo la frustrazione aumenta, soprattutto nei livelli che poggiano sull’acqua, da cui non si può riemergere senza votarsi al primo santo di passaggio. Ciò non fa che sottolineare la ripetitività del level design, abbastanza piatto e lungi dal cogliere di sorpresa un veterano di platform, ma il ritmo martellante e l’azione da cardiopalma mitigano questa lacuna. Breve la campagna, comprensibile data l’impostazione quasi arcade, ma dotata di un’ottima rigiocabilità in cerca della valutazione perfetta per ogni livello (impresa ardua ma appagante).

Sul fronte tecnico, Chain Dive non sembra certo provenire dal tardo 2003, tra una modellazione poligonale povera, animazioni legnose, cut-scenes inguardabili e una palette cromatica scurissima; ciononostante, il motore grafico si dimostra scattante e fluido in ogni circostanza, tanto che far caso alle imperfezioni grafiche è praticamente impossibile mentre si schizza da una parte all’altra dello schermo. Buona la colonna sonora, con brani sintetizzati poco memorabili ma d’atmosfera, e il doppiaggio in lingua nipponica, sebbene alcune frasi in-game vengano ripetute con una frequenza snervante. Ho già detto quanto siano brutti i filmati d’intermezzo?

Immagine anteprima YouTube

IN CONCLUSIONE

A fronte di una presentazione spartana e un bilanciamento non sempre convincente, Chain Dive propone un’esperienza adrenalinica sorretta da una formula di gioco tecnica e coinvolgente, indicata ai giocatori esperti in cerca di emozioni forti, per quanto fugaci. Non avrà lasciato un segno nella storia videoludica, anzi nell’immensa libreria di PlayStation 2 incontra non poca concorrenza da brand ben più altisonanti (e meritevoli in molti casi), ma tra le miriadi di titoli sfuggiti al mercato occidentale si ritaglia un posticino come action dal grande potenziale, divertente e impegnativo. A differenza di molti titoli della scorsa generazione è alquanto arduo reperirne una copia, ma i prezzi sono piuttosto accessibili; se amate il genere, potreste trovare nella produzione Desert Productions un valido esponente. E per oggi è tutto, al prossimo appuntamento di WWL? con Chrono Trigger.

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