What We Lost? | Higurashi Daybreak
“E come al solito arrivo a fine settimana senza avere la benchè minima idea di cosa diavolo propinare per il WWL? Basta sono stufo, mi prendo un giornata di pausa…giornata di pausa? Daybreak? Ma certo!” Ecco più o meno come il qui presente redattore è venuto a capo dell’enigmatico dubbio che lo attanaglia ogni mese, durante la preparazione di questa rubrica. Perchè non basta schiaffare in homepage un gioco a casaccio, ma occorre merce insolita, particolare, produzioni che non ci saremmo mai aspettati o che avremmo preferito restassero nell’oblio, e il Giappone è pieno zeppo di questi mostri digitali. Il titolo in questione infatti non è esattamente un pezzo da novanta, anzi, se analizzato con fare critico rivela una natura a dir poco mediocre, ma quando si tratta di tie-in un fan sfegatato del brand a cui tale operazione commerciale fa riferimento riesce sempre a trovare del bene a prescindere. Ed è questo il caso di Higurashi Daybreak, picchiaduro in terza persona ispirato a Higurashi No Naku Koro Ni, serie cult dell’animazione nipponica nonché tra le preferite del sottoscritto. Sviluppato da Cavia per PSP, è il classico titolo rivolto ad una cerchia ristretta, molto ristretta, e anche con un gusto per il fetish a dire il vero. In effetti è difficile che qualcosa del genere possa interessare individui all’infuori di coloro che pagherebbero oro per farsi rapire da Rena o crocifiggere personalmente Satoko, ma se il gioco in sè non sarà in grado di convincervi potrei comunque avervi aperto un mondo con uno degli anime più affascinanti del nuovo millennio. Ma di cosa stiamo parlando?

Da così...
WHEN THEY CRY
Maebara Keiichi è un ragazzo di 15 anni trasferitosi da poco nel villaggio di Hinamizawa, lontano dalla metropoli, dove frequenta la scuola locale, che conta poche decine di alunni (di diverse età per giunta) e un’unica insegnante. Qui fa amicizia con 4 ragazze, Rena, Mion, Satoko e Rika, e decide di aderire al loro club extrascolastico, la cui principale attività è divertirsi dalla mattina alla sera con giochi di società e amenità simili, nulla di eclatante insomma (tranne per gli imbarazzanti batsu game di fine giornata). Tutta la zona è in fibrillazione per l’ormai prossima festa del Watanagashi, un evento sacro per i pochi abitanti di Hinamizawa, che nasconde forti significati simbolici, legati ad antiche tradizioni risalenti a secoli fa. Ma il passato del villaggio, su cui lo scorrere del tempo sembra essersi fermato, non è tutto rose e fiori, e gli stessi protagonisti celano dei trascorsi tutt’altro che felici, e a farne le spese sarà la loro relazione, e le loro vite…
Higurashi No Naku Koro Ni (Higurashi per gli amici ndr) nasce nel 2002 come sound novel ad opera di 7th Expansion. A seguito del successo ottenuto, negli anni a venire ricevette diversi adattamenti come visual novel (PS2, DS e più recentemente iOS), light novel, manga, di cui si contano dozzine di volumi, ed ovviamente anime, rilasciato da Studio Deen nel 2005. Appartenente a diversi generi, tra cui spiccano le componenti horror e mystery, è piuttosto complesso (se non impossibile) illustrare la trama in modo da risultare cristallini, data la struttura ad incastro dei vari eventi e una narrazione volutamente nebulosa, ma cercherò di districarvi la matassa. Per farla breve e senza rovinarvi nulla la storia di Higurashi non è lineare, ma frammentata in diversi “archi”, 8 per quanto riguarda la versione originale, ognuno apparentemente autonomo dagli altri, pur condividendo con essi personaggi e location. Chiarito questo è possibile effettuare un ulteriore suddivisione, in quelli che vengono definiti “archi di domanda” e “archi di risposta”. Nei primi, che introducono personaggi e background, lo spettatore viene travolto da una serie di sciagure ed enigmi apparentemente senza senso: scatti isterici, pressioni psicologiche, misteriose sparizioni, paranoie, fino ad atti di violenza, torture, omicidi e suicidi. In genere si concludono con la morte violenta di uno o più protagonisti (che fino a poco prima ridevano e scherzavano allegramente), lasciando tutto in sospeso, nè un indizio o una spiegazione, come se la vicenda si fosse conclusa tragicamente e tanti saluti.
Eppure nell’arco successivo rieccoli di nuovo tutti felici e contenti, resuscitati per l’occasione, amici come prima, per poi scannarsi a vicenda nuovamente, pur seguendo dinamiche e introspezioni differenti, e così via come se non ci fosse un domani. E tu ignaro osservatore stai davanti allo schermo a pensare: “Ma che cacchio succede!?” Solo dopo aver fatto conoscenza con ogni anfratto delle interiora di ognuno hanno finalmente inizio gli archi di risposta, che ripropongono gli stessi avvenimenti dal punto di vista di un altro personaggio o focalizzando l’attenzione su dettagli prima ignorati. In questo modo si riesce a trovare un nesso in quanto accaduto, come le rivelazioni del detective di turno alla fine di ogni giallo (o di una puntata del Detective Conan ndr). Ma questo non traspare dalla visione (o lettura), ma va bensì interpretato, e solo alla fine, analizzando ogni capitolo nel loro insieme, si riesce a comprendere il grande disegno dietro ogni squartamento, intrigo e frenesia omicida. Capito qualcosa? In effetti senza cognizione di causa è difficile immedesimarsi, quindi…ritagliatevi un paio di pomeriggi e dategli uno sguardo, in inglese o sottotitolato dal giapponese (italiano ovviamente no, per carità…); se questo articolo dopotutto vi ha incuriosito dubito che ne rimarrete delusi.
Ma c’è un rovescio della medaglia, perchè in un contesto splatter/drammatico come quello di Higurashi possiamo ritrovare anche gag comiche, faccine e dialoghi esilaranti, nonsense e numerosi altri elementi che ingannano sulla reale natura di questa serie. Questo può piacere o meno, ma si tratta in ogni caso è una scelta coraggiosa per spezzare il ritmo dell’azione, permettere di affezionarsi ai protagonisti e farsi quattro risate, tuttavia ciò, unito ad un ventaglio di personaggi femminili per tutti i gusti (tsundere, loli, porzioni abbondanti… ndr), ha dato origine a quintali di spin-off incentrati principalmente sul fanservice e la commedia più spicciola. Non tutti ovviamente, i capitoli extra dei manga ad esempio svelano retroscena e archi aggiuntivi molto interessanti, ma per l’anime la situazione è ben diversa. Dopo l’eccellente prima serie, così cruda, opprimente ed esageratamente sadica, sia verso gli attori che gli spettatori (in senso buono), seguì Higurashi Kai, a buon ragione meno gore per avvicinarsi ad un thriller, in modo da concentrare l’attenzione sui misteri e la loro risoluzione.
Fin qui nulla di cui lamentarsi, ma agli studi di produzione mancava un pò grana, e quindi ecco la prima collezione di OVA, Higurashi Rei, che tra un arco narrativo talmente noioso da far appisolare persino l’intonaco dei muri e improbabili maledizioni, riesce ad infilare a forza nell’universo di Higurashi costumi da bagno, ecchi, yuri e quant’altro, episodi talmente idioti…che non ho potuto fare a meno di adorare (si, la critica è oggettiva ma non soggettiva in questo caso, come si potrebbe rifiutare materiale simile? ndr). Ma se fino ad ora si poteva arginare ogni scoria puramente commerciale e trovare un senso, seppur vago, nulla può eguagliare Higurashi Kira, conclusosi di recente, che nonostante il titolo altisonante (foneticamente Kira in giapponese rimanda a killer, come Death Note insegna ndr), altro non fa che fiondarci in dimensioni parallele dove il nonsense è di casa, ma sorvoliamo, e torniamo al nostro illustre dimenticato, a quanto pare tralasciato anche dall’articolo stesso.

...a così. Un lol di incoraggiamento!
ME LO PORTO A CASA!!
Perchè dare così tanto spazio alla saga di Higurashi in generale? Semplice, perchè parlare di Daybreak senza prima avere una bella infarinata sul brand non permetterebbe di comprendere appieno il titolo per PSP, essenzialmente privo di personalità, se non fosse proprio per l’altisonante nome che porta. Come, è solo un pretesto per sponsorizzare l’anime? Anche, What We Lost? in fondo mira a far conoscere ciò che noi disgraziati europei non conosciamo, che siano videogiochi, anime o cultura generale, non fa differenza, perchè il Giappone non è solo stramberie e occhi a mandorla, ma molti sembrano dimenticarlo. Se poi si può unire ad una bella sessione in single player una piacevole serata all’insegna della vera animazione non vedo perchè non cogliere la palla al balzo.
Detto questo, cosa dire a riguardo di Higurashi Daybreak? Partiamo dalla trama, che riprende gli eventi del quinto OVA della serie Rei (o forse è il contrario?). Mentre Rika spazza il tempio Furude, una scatola cade dal cielo centrandola in testa; al suo interno si trovano due magatama (amuleti piuttosto comuni nel Sol Levante), tesori sacri del casato e dotati di poteri magici. In pratica il possessore del magatama rosso si innamorerà perdutamente di colui (o colei) che deterrà il gemello bianco, così i membri del club decidono di dividersi in coppie e darsi battaglia per stabilire chi ne otterrà il possesso. A questo festival di legnate si uniranno quindi gran parte delle star di Hinamizawa, dal detective Oishi alla guardia del corpo della famiglia Sonozaki Kasai, passando per il dottor Irie, Hanyuu e altri che mai avremmo immaginato imbracciare armi. Motivo? Nessuno, come a nessuno interessa dopotutto, e a giudicare dagli scambi di battute della modalità principale gli sviluppatori non devono aver spremuto molto le meningi per venirne a capo. Se non altro è sempre un piacere ascoltare le voci originali, riproposte fedelmente e quasi del tutto prive dell’effetto metallico dovuto alla compressione che in genere affligge il doppiaggio su sistemi handled. Le modalità invece si attestano sugli standard del genere, con la classica Storia da affrontare con tutte e 8 le coppie (purtroppo l’assenza di sottotitoli mina l’esperienza), il Versus, sia contro il CPU che giocatori umani tramite wi-fi locale, e lo shop in spendere i punti accumulati in battaglia per ottenere svariati exra.
Il battle system è mutuato dalla serie Gundam vs Gundam (di cui trovate un ampio speciale qui), quindi scontri 2 contro 2, con l’obiettivo di azzerare la barra vita di gruppo (in questo caso caricando una percentuale fino al 100%, che decreterà i vincitori). Il ring è il villaggio stesso, senza alcun limite all’arsenale, con la possibilità di utilizzare combo in mischia e diversi attacchi a lungo raggio, suddivisi in 3 categorie a seconda di quanto si terrà premuto il pulsante d’attacco. E non dimentichiamo l’abilità di volare, concettualmente errata ma sufficiente per dare quel tocco di spessore in più al gameplay e strappare qualche sorriso. Anche se non siamo al top nè dal punto di vista contenutistico, con una manciata di arene che poco rimandano agli scorci suggestivi di Hinamizawa e solo 16 lottatori, nè da quello prettamente ludico, è da elogiare il lavoro compiuto da Cavia nel creare un cast bilanciato e molto fedele alla serie animata. Niente tecnicismi, nessuna combinazione di tasti, ma gettarsi nella mischia impersonando Keiichi e la sua fida mazza in alluminio, Rena e la sua mannaia e in linea massima ogni personaggio con la sua “arma” distintiva è piuttosto divertente, sempre rapportato secondo un’ottica da fan di Higurashi. Chiude quindi il quadro una realizzazione poligonale discreta e uno stile super-deformed dei personaggi funzionale al contesto e piuttosto curato.

Un match random è sempre un piacevole diversivo
IN CONCLUSIONE
E siamo giunti alla fine di questa nostra rubrica. Considerazione sulla valenza di un gioco che cavalca l’onda di successo di Higurashi No Naku Koro Ni a parte, il titolo funziona? Ni. Vale la pena provarlo? Come già detto principalmente se estimatori del brand, ed è proprio a tal proposito che non ho lesinato nell’illustrarvi nel dettaglio i tratti distintivi di questa magnifica serie, e posso garantirvi che se si ama Hinamizawa e tutto ciò che vi ruota intorno e non spaventano scazzottate ignoranti, Daybreak nel suo piccolo saprà allietare molti fan con uno stile di gioco semplice ed immediato. Certo, non se ciò implichi spendere un patrimonio, date le ovvie carenze in più ambiti, ma si tratta di un ottimo incentivo per ampliare il catalogo di una console che almeno da noi ha espresso solo il 20% delle sue potenzialità. Detto questo vi saluto e vi rimando al prossimo WWL? 😉
