Speciale | Addio LucasArts e grazie di tutto – Parte 2
Benvenuti nella seconda del nostra speciale dedicato alla vita e alla morte della LucasArts. Ci eravamo lasciati qualche giorno fa con una puntata dedicata alle uscite relative al loro brand di punta, l’universo di Star Wars. Oggi riguarderemo la storia delle gloriose avventure grafiche che, grazie ad una geniale simbiosi tra enigmi e follia, sono riuscite ad entrate nel cuore di milioni di giocatori e che per molti rappresentato ancora oggi il picco massimo raggiunto da questo genere.
TUTTO INIZIÒ CON DAVID BOWIE
Torniamo indietro di qualche anno, siamo nel 1986 quando uscì la prima avventura targata LucasArts: Labyrinth The Computer Game. La scritta Computer Game serviva a ribadire come il gioco fosse un tie-in del film fantasy uscito nelle sale cinematografiche nello stesso periodo. In molti se lo ricorderanno più per il faccione pixelloso di David Bowie che per il gioco in sé. Questa non era una vera e propria avventura grafica, si avvicinava, ne delineava la via, ma rientrava ancora nel campo delle avventure testuali. Se non ci avete mai giocato nessuno ve ne farà una colpa, a meno che non siate dei retrogamer accaniti il gameplay potrebbe risultarvi piuttosto indigesto. La prima avventura grafica vera e propria della LucasArts fu Maniac Mansion, uscita l’anno successivo; questa abbandonava totalmente l’uso della tastiera in favore del point and click che tutti conosciamo. Maniac Mansion permetteva di scegliere tre protagonisti per la nostra avventura tra sette disponibili per poi addentrarci in una villa piena di meccanismi folli abitata dai pazzoidi della famiglia Edison e da tentacoli. La scelta dei personaggi non era una semplice formalità estetica, a seconda del protagonista si trovavano enigmi ed un finale differente. Con un’ambientazione a metà tra horror e humour e un gameplay non lineare, Maniac Mansion fu un grande successo e rese famosa la LucasArts anche come creatrice di avventure grafiche, oltre che Ron Gilbert come game designer. Questo fu il primo gioco ad usare lo SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) software utile per semplificare lo sviluppo delle avventure, venne programmato da Ron Gilbert e da Aric Wilmunder, personaggio meno famoso ma altrettanto centrale nella creazione di quasi tutte le avventure LucasArts. Nel caso non abbiate mai avuto la fortuna di giocarlo nel 2004 è stata creata una versione gratuita totalmente restaurata, se siete curiosi inserite sul vostro motore di ricerca Maniac Mansion Deluxe.
Nel 1988 arrivò sugli scaffali di mezzo mondo Zak McKracken and The Alien Mindbenders, una nuova avventura umoristica che ci metteva nei panni di Zak, un giornalista investigativo deciso a scoprire la fonte dei suoi sogni assurdi e come mai sempre più persone si rincretinivano dopo aver usato il telefono. Il gioco fu apprezzato da una parte della stampa per la grandezza delle sue ambientazioni, per il suo umorismo canzonatorio verso i complottisti nei confronti di alcune filosofie New Age, dall’altra parte ricevette dure critiche per la complessità delle situazioni, la mancanza di indizi e per i personaggi poco caratterizzati. Nel 1989 usci nelle sale cinematografiche, e come avventura su PC e console, Indiana Jones and the Last Crusade; questo era ovviamente un tie-in che ricalcava più o meno fedelmente le scene narrate nel grandissimo film con Harrison Ford. Un gioco basato su Indy doveva necessariamente essere un po’ più di azione rispetto alle uscite precedenti, ecco quindi che i giocatori si ritrovarono con un gameplay molto più vario, che agli enigmi integrava scazzottate e momenti di stealth in pieno stile Metal Gear per MSX. Il grande successo di questo titolo lo si deve anche ai percorsi multipli, i momenti di azione erano evitabili con il giusto utilizzo della testa, c’erano intere sezioni che non erano disponibili se non scegliendo determinati percorsi. Un’altra introduzione che oggi pare ovvia, ma che ai tempi sembrò quasi rivoluzionaria, fu l’aggiunta di un comando “parla”. Questo era attivabile solo in determinate aree, però basta per rivalutare l’importanza dei dialoghi e il rapporto con gli NPC.
Nel gennaio del 1990 uscì una delle avventure fantasy più controverse e innovative del panorama mondiale, Loom. Creata da Brian Moriarty, Loom si distaccava completamente da tutti gli altri giochi presenti sul mercato, niente oggetti, i comandi tradizionali sparirono, così come sparirono quasi tutti gli elementi che i giocatori erano abituati ad aspettarsi in una avventura. Tutto il gameplay era basato sulla combinazione di quattro note che il protagonista poteva usare per comporre melodie necessarie per interagire con lo scenario. Loom era corto e ben poco divertente, nonostante questo, guardando la monotonia del mercato attuale, non possiamo che rispettare l’originalità quanto apprezzare l’idea che fosse una major a produrre un gioco tanto controverso.
GUARDA, UNA SCIMMIA A TRE TESTE
Da qui in avanti per la LucasArts iniziò una serie incredibilmente positiva, i giochi uscivano in continuazione e la loro qualità era elevatissima. Questo risultato fu possibile grazie all’ingresso nello studio di alcune tra le più grandi menti dell’industria dei videogame come Tim Schafer, Dave Grossman e tanti altri i cui nomi sono meno famosi. Dal 1990 al 1993 furono anni incredibilmente febbrili, per primo usci The Secret of Monkey Island che costò 175 mila dollari e creò una delle icone dei videogame, Gaybrush Threepwood. Monkey Island e tutta la serie di giochi che seguì era ambientata su alcune isole caraibiche nella golden age dei pirati. Dopo il celebre inizio con Guybrush appena sbarcato su Melee Island e che pronuncia “My name is Guybrush Treepwood and I want to be a pirate” si delineava un gioco assolutamente epico, ricco di dialoghi divertentissimi (scritti da Tim Shafer) e di enigmi folli, il pollo di gomma con la carrucola in mezzo è diventato leggenda… Il gioco, che nella prima versione mancava delle veste grafica per gli oggetti nell’inventario, venne ripubblicato in varie edizioni in cui aggiornarono la grafica e il codice ma mai il gameplay.
Visto l’enorme successo, l’anno successivo usci Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, ultimo lavoro di Ron Gilbert con la LucasArts. Il gioco proponeva un maggiore numero di aree e di enigmi, una grafica coloratissima resa possibile dall’unione di una programmazione prodigiosa e da un attento utilizzo della limitatissima memoria, un selettore di difficoltà che allungava notevolmente la longevità, tutto questo unito sempre ad una storia folle e ricca di enigmi geniali. Il gioco era avanti sotto ogni elemento rispetto al predecessore e fu inserito all’interno di undici floppy disk da 1,4 MB (numero altissimo per i tempi). Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge introduceva tra le altre cose il sistema iMuse che dava la possibilità di sincronizzare l’audio con quanto capitava sullo schermo. Qualche anno fa questi primi due capitoli sono stati ripubblicati con una grafica moderna, ma indipendentemente dal numero di pixel Monkey Island 2 ancora oggi è il metro di paragone di tutte le avventure grafiche a stampo comico.
Nel 1992 usci Indiana Jones: Fate of Atlantis, avventura con una storyline totalmente nuova e realizzata apposta per il gioco. Questa avventura, come la precedente di Indy, dava la possibilità di un approccio più action rispetto agli enigmi di Guybrush. Indy poteva finire alla prese con inseguimenti automobilistici, fare a cazzotti con i nazisti oppure cercare una via che non richiedesse l’uso della violenza. Riprendendo l’idea inizialmente espressa ne L’ultima crociata, esistevano varie vie per portare a compimento il gioco. Non stiamo parlando di un enigma in più o in meno, tramite le scelte a disposizione si potevano vivere avventure radicalmente differenti, cosa che ovviamente allungava notevolmente la longevità.
Nel 1993 la LucasArts pubblicò una delle sue perle più splendenti, nonché seguito di Maniac Mansion, Day of the Tentacle. Un gioco che ci chiedeva di salvare il mondo da un malvagio tentacolo viola utilizzando tre amici sparsi per diversi periodi temporali a causa di una macchina del tempo rotta. Gli enigmi si basavano sulla stramba interazione dei protagonisti che, modificando la storia americana, potevano avere utili ripercussioni nel futuro. Si trattava di un’idea assolutamente geniale e fuori dagli schemi, inoltre fu uno dei primi giochi ad essere completamente doppiato tanto che per molti giocatori rappresenta la migliore avventura grafica della LucasArts, quella che bilancia meglio enigmi, scene senza senso e gag. La chiusura di questo periodo d’oro arrivò con Sam & Max: Hit the Road uscito sempre nel 1993, un gioco assolutamente folle in cui impersonando un cane antropomorfo e un coniglio schizofrenico dovevamo recuperare un bigfoot scappato da un circo. Il gioco presentava una grafica maestosa, libera di essere osservata grazie ad una interfaccia minima, mentre il classico menu SCUMM venne sostituito da una icona per aprire l’inventario e tutti i comandi azione richiamabili dal puntatore. Sam & Max: Hit the Road fu un successone e guadagnò consensi dalla quasi totalità della stampa grazie al suo umorismo folle, la longevità e svariate ambientazioni.
EL POLLO DIABLO
Questa fase positiva non poteva durare per sempre, il declino iniziò nel 1995 con Full Throttle. Indossando gli abiti di un motociclista alle prese con le strade di un futuro distopico dovevamo risolvere i problemi dovuti ad una falsa accusa di omicidio. Questo fu il primo titolo LucasArts ad essere distribuito su CD-ROM, graficamente era estremamente curato con cut-scenes ottimamente disegnate e ancora oggi il gioco dal punto di vista estetico è invecchiato piuttosto bene. Il punto dolente era il gameplay. Full Throttle ha avuto il coraggio di cambiare i toni, le gag ci sono sempre però l’atmosfera è più adulta e più violenta, l’interfaccia fu ri-elaborata in favore di una interazione più immediata e disponeva di un comparto narrativo più che solido. Quindi cos’è che è andato storto? Full Throttle era semplice, breve e non divertiva quanto ci si aspettata.
Destino simile accadde con The Dig, avventura fantascientifica dall’atmosfera molto seria, divenuta famosa più per la partecipazione di Steven Spielberg e per i maestosi effetti speciali creati dalla Industrial Light & Magic che per il gameplay e gli enigmi. Questi furono aspramente criticati, in quanto considerati fin troppo complicati, inoltre ricordavano molto quelli presenti nella serie Myst, cosa che poco interessava i fan Lucas alla costante ricerca di gag e follia. Nel 1997 usci uno dei giochi più discriminati e sottovalutati di sempre: The Curse of Monkey Island (aka Monkey Island 3). Le cause di snobismo furono due: il cambiamento del team di sviluppo e il cambio di atmosfera dell’avventura. Vista la mancanza di Ron Gilbert molti dei fan più accaniti lo guardarono storto fin dall’annuncio e i creatori sapendo di trovarsi su un terreno estremamente scivoloso crearono un Monkey Island simile ai precedenti nel gameplay ma molto più parodistico. L’umorismo di Monkey Island 3 è molto più “semplice” e meno graffiante, potremmo dire più bambinesco, rispetto al suo predecessore, cosa che molti non gradirono. Nonostante questo, The Curse of Monkey Island è una avventura di grande qualità, longeva, divertente ed è più che degna di essere il seguito di Monkey Island 2, anche Ron Gilbert ha detto più volte di averla molto apprezzata; a qualche anno di distanza il suo valore è stato riconosciuto da quasi tutti, almeno questo…
Il 1998 fu l’anno di Grim Fandango che quanto a creatività e originalità è stato il canto del cigno delle avventure targate LucasArts, se volete saperne di più fate un salto qui. Nel 2000 uscì il quarto capitolo della saga scimmiesca se non ultima avventura della LucasArts: Escape from Monkey Island. Monkey Island 4 abbandona la grafica 2D in favore del GrimE, il motore grafico di Grim Fandango opportunamente rivisto per l’occasione. Si tratta di un gioco estremamente ambizioso, invertendo la rotta presa qualche anno prima questo episodio presenta un umorismo molto più ragionato rispetto a Monkey 3. Le isole caraibiche si sono trasformate e da paradiso naturale sono state contagiate dal capitalismo, diventando il regno del consumismo dove lo stesso Guybrush è una icona involontaria. Nonostante un generale consenso da parte della critica, il gioco venne mal considerato dai fan (strano vero?) che poco digerirono il Monkey Kombat e alcune aggiunte fin troppo forzate che poco si integravano con la saga originale.

RELIQUIE
Per affrontare al meglio questo speciale avevo bisogno della giusta atmosfera e dei giusti odori, avevo bisogno di immergermi nella polvere del passato. Dopo anni di disinteresse ho riaperto il mio armadio delle reliquie e mi sono messo ad osservare le vecchie “Big Box” di cartone targate LucasArts. Paragonate alla vuotezza delle confezioni odierne quelle vecchie scatole hanno una parvenza veramente maestosa, non so di preciso quand’è che la confezione ha perso la sua utilità e la sua bellezza, probabilmente intorno al periodo PlayStation 2, ma è evidente come le vecchie scatole erano veramente piacevoli da guardare e da possedere. Tra tutti i miei cimeli altamente infiammabili la ricchezza di Monkey Island 2 mi ha lasciato letteralmente di sasso: oltre al gioco c’era un manuale che introduceva alla storia, istruzioni per installare il gioco, guida risolutiva leggibile solo attraverso uno speciale pezzo di plastica rossa e come pezzo forte il sistema di protezione. Quando ancora gli sviluppatori non potevano rovinarci la vita con DRM cretini, il sistema di protezione consisteva in una combinazione o in una parola da inserire prima di poter iniziare la partita. Monkey Island includeva nella confezione una speciale ruota girabile che, seguendo le indicazioni su schermo, forniva gli ingredienti di schifosissime ricette. Assolutamente geniale.
Dopo questo lunghissimo speciale sulla gloriosa vita della LucasArts ci tengo chiudere con due righe personali. Se oggi siamo qui a scrivere o leggere righe su righe su questa defunta software house sono convinto sia perché quanto ci ha lasciato vada oltre la gag divertente o la scena stupida. In questi giorni milioni di giocatori di tutto il mondo hanno riversato sulla rete litri di inchiostro digitale, a volte i commenti erano un po’ esagerati, però è stato singolare come in molti abbiano voluto condividere il ricordo di quando erano più giovani e potevano riempire la casa di amici per cercare di risolvere gli enigmi di Largo, o come trovare il modo di salvare la terra da un futuro tentacolare. Nel caso ipotetico che domani chiudesse un’altra azienda importante la rete esprimerebbe il suo dispiacere soprattutto per i dipendenti licenziati, ma sapremmo che qualcun altro si occuperebbe di darci l’action o lo sportivo che esce a cadenze fisse. La LucasArts ci ha dato un divertimento unico, se oggi ogni americano ha una aspirapolvere in cantina è anche merito nostro.
Grazie di tutto.